16 Ottobre 2011 12:41 Nome: lori
Grazie all'ANPI, l'altra sera, venerdì 14, si è svolto un incontro che, partendo dal libro " VARESE GARIBALDI ED URBAN " di Don Giuseppe Della Valle, ha toccato la sensibilità e i sentimenti degli ascoltatori, che probabilmente ben conoscevano le vicende storiche dei varesini nel Risorgimento, ma che , altrettanto probabilmente, non avevano ancora scoperto il " sentire " di quegli anni e di quei tragici avvenimenti.
Enzo Laforgia, il relatore, ha toccato aspetti umani, di orgoglio, di patriottismo e di sacrificio che raramente ci sono sembrati così vicini e condivisi. Sebbene l'argomento sia stato sviscerato in più sedi, ho provato sensazioni forti di empatia e condivisione per i cittadini del mio territorio che hanno " pagato " l'essere nati in quell'epoca, non così lontana come a volte i freddi libri di storia ci fanno sembrare ma, come diceva il professore Laforgia, anni di cui i nostri nonni e bisnonni sono stati testimoni ed artefici.
I Cacciatori delle Alpi, i Garibaldini,2 o 3 mila giovani, per la maggior parte ventenni, infervorati e votati al sacrificio della vita, raggruppati come volontari da Garibaldi, giunto a Varese, da Sesto Calende, a mezzanotte di una sera di maggio. L'eroe leggendario rimane stupito dall'accoglienza calda e numerosa che il popolo varesino gli riserva, in piena notte, le strade sono piene di patrioti, tricolori, uomini e donne e bambini. Il Podestà Carcano che aderisce immediatamente all'azione garibaldina e incontra lo stesso Garibaldi con un abbraccio storico su quel balcone, in Piazza del Podestà che oggi, incongruenza e imprevedibilità della storia, appartiene alla sede della Lega Nord !
L'azione garibaldina dei giovani volontari varesini si svolge drammaticamente per l'attacco del maresciallo austriaco Urban che, proveniente da Como, marcia su Varese.
Si posizionano 3 barricate, Garibaldi si posiziona su Ville Ponti per segnalare con razzi, ai suoi fedelissimi, i comandi.Le zone degli scontri sono nella boscaglia del Lazzaretto,, a Biumo, 26 maggio 1859, e, dopo la ritirata degli austriaci verso Malnate, a S. Fermo Della Battaglia.
Garibaldi lascia questi territori di gente generosa e orgogliosa che ha lasciato molti corpi sui campi di battaglia, dove si affondava nelle carni straziate dagli assalti alla baionetta.
Urban torna, bombarda Varese e saccheggia la città. I varesini superstiti fuggono al Sacro Monte.
Il monumento al Garibaldino in Piazza del Podestà porta al basamento le 4 lanterne, forgiate con le palle dei cannoni austriaci che hanno attaccato Varese.
C'è un aspetto emotivo e coinvolgente nella testimonianza diretta, scritta da Don Della Valle e nell'esposizione del professore Laforgia che spesso nei libri di scuola manca, credo che questo sia il canale migliore per entrare nella memoria di chi è nato dopo quelle vicende, il canale migliore per vivere il nostro territorio con consapevolezza, orgoglio e gratitudine per la generazione dei nostri nonni o bisnonni, come dice Laforgia, artefici del nostro percorso.
L'immagine di quel balcone in Piazza del Podestà, dove Garibaldi e il Podestà Carcano si abbracciarono interpretando la ferrea volontà di partecipazione popolare ai moti patriottici ed UNITARI DEL NOSTRO PAESE, calata nella contemporaneità, mi lascia, una deprimente sensazione di cose perse e dimenticate, di condotte deleterie e di degenerazione del sentire generale.
16 Ottobre 2011 10:53 Nome: lori
Riporto qui l' intervento dal forum attualità per una collocazione, forse, più pertinente al tema, grazie.
Il Femminile nel Risorgimento Italiano.
Il Convegno di ieri ( 14-10 ) al De Filippi, moderato dal professore Mariuccio Bianchi, ha sottolineato l'apporto immenso e poco conosciuto delle donne alla rivoluzione di metà ottocento, nel nome della Patria.
Le relatrici, tutte donne, Marcella Filippa,Ivana Pederzani,Valeria De Bortoli,hanno tracciato percorsi e ritratti di mogli, mamme, sorelle attive e determinanti per l'Unità d' Italia.
A Varese ,prima e dopo la metà dell'ottocento, il patriottismo si sosteneva con esemplari donne , mazziniane e cavouriane, nei salotti delle famiglie Adamoli, Dandolo Morosini, Morandi.
Erano salotti risorgimentali dove si costruiva una rivoluzione morale e patriottica, si ascoltava la musica di Verdi dal vivo, a cura delle " mammine "
madri risorgimentali che allevano i figli per il Risorgimento.
Donne che cuciono bende e bandiere, coccarde, orli di pantaloni contenenti messaggi segreti, che soccorrono, che confortano, che si travestono da uomini per partecipare alla battaglia. donne che vanno al di là dell'appartenenza territoriale e consolano i feriti austriaci con materna generosità.
Il " maternage " universale delle donne lombarde e varesine che hanno soccorso feriti con i farmaci e con il conforto delle parole.
Sacrifici incredibili, madri imprigionate, torturate , uccise. Tutto ciò in una società che non considerava le donne come membri importanti alla crescita sociale e culturale.
Il Risorgimento è stato anche la rivoluzione morale e patriottica delle donne !
Sacrifici ed atti eroici che, per le donne, sono continuati a lungo, e non sono finiti, nel mondo del lavoro, nella famiglia, nell'emancipazione, nei diritti.
La CISL, organizzatrice del Convegno, attraverso la relatrice De Bortoli, fa una carrellata sul percorso affannoso della donna nel mondo del lavoro, quando il matrimonio, la maternità,la malattia ti portavano al licenziamento. La differenza salariale che sfiorava, a volte , il 70 %. Il mondo politico che guardava con pregiudizio il lavoro femminile fuori casa. Lo straordinario era vincolante,l' adesione al sindacato metteva a rischio il posto di lavoro.
Donne, l'altra metà del cielo ! o forse, la totalità del sentire dell'umanità !
16 Marzo 2011 12:35 Nome: lori " GLI ULTIMI GIORNI DI GAETA " di GIGI FIORE, scrittore e giornalista napoletano.
La caduta di Gaeta, nel febbraio del 1861, è uno dei simboli dell'unità d'Italia. Di Fiore racconta - senza fare sconti - l'assedio brutale che fu l'ultima battaglia di due eserciti italiani in guerra tra loro.
FU lo scontro finale tra due eserciti italiani: quello piemontese del nord e quello delle Due Sicilie nel sud;
FU il micidiale banco di prova dei potenti cannoni Cavalli a lunga gittata sperimentati dai piemontesi anche su una popolazione civile inerme;
FU l'atto finale, quasi del tutto ignorato dai libri di testo scolastici, dell'annessione del sud Italia al resto della penisola;
FU l'epilogo della dinastia Borbone in Italia dopo 134 anni di regno;
FU l'inizio dei problemi di un'unificazione che, da quel febbraio, sarà macchiata da una rivolta nel sud repressa con cannoni e fucili;
FU la fine delle difficoltà diplomatiche del governo piemontese che, dopo la formale resa del re Borbone, fu finalmente in condizione di convocare il Parlamento per la dichiarazione dell'unità d'Italia;
FU una pagina oscura di cinismo militare con bombardamenti anche su obiettivi civili, prolungati anche a tre ore dalla firma della capitolazione, che costarono centinaia di morti e danni enormi alla città di Gaeta;
FU l'emblema del meglio e del peggio degli italiani: 100 giorni che restano il vero simbolo del processo risorgimentale, forse più illuminante, perchè meno noto, dell'ultra-celebrata epopea garibaldina;
FU infine una pagina che, nei libri di testo scolastici, viene relegata a poche righe, nonostante sia durata tre mesi e sia costata, soprattutto tra i soldati meridionali, oltre mille morti e non meno di 300 vittime tra i civili.
COME SEMPRE LA STORIA RACCONTATA DAI VINCITORI NON CORRISPONDE ALLA STESSA STORIA RACCONTATA DAI VINTI !
Grazie al professor Bianchi per l'arricchimento storico e l'occasione offertaci per approfondire e conoscere parte di noi e della NOSTRA SOFFERTA ITALIA.
16 Marzo 2011 12:26 Nome: lori
CARLO CATTANEO- " DELL'INSURREZIONE DI MILANO DEL 1848 "
Inizia nel 1848 un MOVIMENTO " DEMOCRATICO-REPUBBLICANO " che ha due caratteristiche :
-rifiuto della monarchia
-valutazione dei Savoia al servizio del loro interesse dinastico e conservatore
Non così facile è la vittoria della libertà nei cauti e freddi animi dei Piemontesi.
Sono costoro che vogliono operare l’unione d’Italia,NON COL RAPIDO E SPONTANEO MOTO DEI POPOLI dietro il lampo dell’idea e per l’impeto del sentimento, ma colli artificiosi lacci e le ferree stringhe di Luigi XVI e di Richelieu, come se li Italiani dovessero viver paghi di seguire, a due o tre secoli di distanza, le altre nazioni. Sono costoro, che dicono oggidì voler essi, al loro ritorno in Milano, sopprimere immantinenti ogni respiro di libera stampa; poiché non li lascierebbe inchiodar saldamente le tavole del fortissimo regno. Infelici! si facciano indietro; e lascino operare il popolo, il quale sa più di loro, e più di loro intende se medesimo e il secolo e il decreto della natura di Dio.
Sì, l’ultimo dei Trasteverini mostra oggidì più sagacia politica, e più intendimento dell’Italia e dei tempi, che non l’Azelio e il Gioberti e le altre stelle del cielo subalpino. Molte acerbe parole sono in questo libro scagliate contro Carlo Alberto; ma non come a uomo, bensì come a simbolo e specchio di tutti i cortigiani suoi. [...] E grande e fatale è pure la similitudine ch’è tra quei reprobi, artefici della nostra ruina, e li Azelio, i Balbo, i Gioberti. Sono tutti impedimenti all’unità d’Italia, impedimenti alla libertà, impedimenti alla guerra passionata, veemente, vittoriosa. Insomma, sono tutti appigli e amminicoli alla potenza straniera. No, all’indipendenza non si perviene, se non per la via della libertà. [...]
Il nostro sincero vessillo è in Venezia; e di là minaccia a tergo e sulle due rive dell’Adriatico i nostri nemici. Caduta Venezia la guerra italica sarebbe estinta [Cattaneo scriveva queste pagine sei mesi prima della capitolazione di Venezia il 22 agosto 1849]; e l’unanime nostra rivoluzione verrebbe a chiamarsi non altro più che una sedizione repressa. Lasciamo il Piemonte nella rete della sua politica; volgiamo l’animo a Venezia; non lasciamola languire; quivi è il palladio dell’indipendenza; in Roma è il santuario della libertà. [...]
Ma pur troppo una guerra appassionata, aspra e diuturna è necessaria a ritemprare all’antico vigore i popoli e rinnovare tutte le nostre istituzioni. Io non desidero una facile e molle vittoria, che ci lasci servi ancora delli interni padroni, e servi ben tosto dei padroni stranieri. E quando penso che le guerre intestine dell’Austria ci assicurano l’occasione d’una lunga guerra: e che una lunga guerra rifarà la milizia italiana; e che,SENZA IL PIEMONTE, L'ITALIA TIENE ANCORA VENTI MILIONI DI POPOLO : IO DICO, LO DICO CON DOLORE, MA CON FERMA FIDUCIA : IL PIEMONTE NON E' NECESSARIO !
( ...nessun riferimento a Cota....)
PS. ho fatto un passo indietro ma è sempre interessante e reale confrontare le idee dei potenti e lo scollamento degli stessi dal popolo e dalle sue aspirazioni.....
11 Marzo 2011 15:18 Nome: Mariuccio Bianchi
Cara Lori, a conclusione del lavoro di questi mesi, vorrei ringraziarti di cuore per il tuo prezioso contributo e per i tuoi interventi sempre pertinenti e stimolanti. Mariuccio Bianchi
10 Marzo 2011 11:49 Nome: lori
ERA IL 22 MARZO 1848, VENEZIA SI LIBERA DOPO OLTRE CINQUANT'ANNI DI SCHIAVITU', DI REPRESSIONI ( francese - austriaca ) E DI FAME !
QUESTA ERA L'AMARA FILASTROCCA :
Con San Marco comandava ( quando comandava San Marco
se disnava e se senava si faceva pranzo e cena
Soto Franza, brava gente sotto la Francia che era brava gente
se disnava solamente si cenava solamente
Soto Casa de Lorena sotto la casa dei Lorena
non se disna e no se sena niente pranzo niente cena )
AGGIORNAMENTO PIU' AVANTI CON I MILIONI DI EMIGRATI PER FAME :
Soto Casa de Savoia ( sotto la casa dei Savoia
de magnar te ga voja di mangiar hai solo voglia
i n'à portà na fame roja ci hanno portato una fame troia...)
Savoja, Savoja,intanto noaltri...andemo via...vaca troja....
10 Marzo 2011 11:09 Nome: lori
DAL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA DEL 1848-
RITROVATE ANCORA QUALCHE COSA DI ATTUALE ? VI RICHIAMA QUALCHE IMMAGINE NOTA ?
( voglio comunque allontanare ogni sospetto di nostalgia......)
La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria.
Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliche. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo «pagamento in contanti». Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche.
La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi.
La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro.
La borghesia ha svelato come la brutale manifestazione di forza che la reazione ammira tanto nel medioevo, avesse la sua appropriata integrazione nella più pigra infingardaggine. Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere l'attività dell'uomo. Essa ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha portato a termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le crociate.
La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti.
Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.
Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un'impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto i piedi dell'industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che non lavorano più soltanto le materie prime del luogo, ma delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo dal paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni, soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani. All'antica autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la produzione materiale, così per quella intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la ristrettezza nazionali divengono sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali si forma una letteratura mondiale.
Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la più tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza
01 Marzo 2011 21:34 Nome: lori
Per avere un'idea della tensione e del vivere quotidiano del popolo di quegli anni, in questo caso, nel mantovano. Clima nel quale ha preso vita anche la vicenda dei Martiri di Belfiore, famosa e celebrata, ma che si accompagna a tante altre vicende tragiche di giovani vite troncate da prepotenza straniera. I giovani spesso si davano alla macchia per sfuggire a odiosi doveri militari e si ritrovavano perseguiti perchè dediti alla comune delinquenza.
La tradizione popolare tuttora ricorda un avvenimento tragico accaduto verso la metà del 1800. Si narra, infatti, che l'estate di un certo anno intorno al 1850 alcuni giovani, giudicati e condannati in un processo celebrato ad Este per un fatto di sangue accaduto all'Agnolo, furono condotti da Este fino a Magnacavallo con una carretta seguita da altra contenente le loro bare, e qui fucilati nel Prato Guerrino, alla presenza del popolo costretto ad assistere alla esecuzione.
La tradizione popolare è provata documentalmente. Infatti nel Libro dei Morti 1847 al 1887 (pag. 23, n.ri 22, 23, 24, 25) è annotata la fucilazione, avvenuta nel Prato Guerrino il 3 giugno 1852, di Buganza Gaetano, Raineri Gaetano, Magri Domenico, da Poggio Rusco e Tassi Battista da Mulo (ora Villa Poma). Gli atti dei processi di Revere sono conservati, come riferisce il Magri, nell'Archivio Comunale di Revere.
Al di là della formale legalità degli atti secondo le leggi in vigore all'epoca, non si può non sottolineare che il tragico e rapidissimo trasferimento dell ' ITINERANTE TRIBUNALE MILITARE DI MORTE da un paese all'altro, per rendere, quasi ... a domicilio e far eseguire all'istante condanne senza appello - anche tre nella stessa mattinata! - ed in località diverse tra loro distanti diversi chilometri, come avvenne quel tragico mattino dell'8 giugno a Poggio Rusco, Revere e Ostiglia, URTA CONTRO IL SENSO DEL DIRITTO , crea incertezza e dubbio sulla sostanziale causa e sugli scopi dei processi celebrati per fatti probabilmente scaturiti più da malcontento politico, che da inclinazione a delinquere.
Da quei processi dall'esito così apparentemente scontato, data la rapidità della loro celebrazione, traspare quanto meno un fine vendicativo ed esemplare (per gli stessi motivi Sermide era stato incendiato nel 1848), accanto a quello redentivo, o repressivo, delle pene inflitte.
Le esecuzioni dovevano essere, infatti, anche un tragico esempio, un motivo contro coloro che, in qualunque modo, attentavano all'autorità costituita, o si sottraevano ai doveri militari.
In ogni modo quelle persone per le quali si concluse tanto tragicamente la vita, a mio parere debbono essere ricordate ora almeno con rispettosa pietà, considerando che le condizioni economiche disastrate del tempo, l'ignoranza e l'indigenza secolari di gran parte della popolazione, l'oppressione politica, e l'occupazione militare delle varie autorità straniere abbiano almeno favorito il verificarsi di fatti ritenuti illegali.
03 Marzo 2011 16:17 Nome: Mariuccio Bianchi
Ancora una volta complimenti e grazie, cara Lori.I tuoi contributi, oltre che arricchire le ricerche sul Risorgimento, sono state per me un ulteriore stimolo alla lettura ed all'approfondimento.
01 Marzo 2011 15:30 Nome: lori
Dalla tiepida Mantova, terra contadina, pianura verde e campi coltivati, odore di stalle e di fieno, gente semplice ma risoluta, vennero i movimenti più pericolosi per la nascente coscienza civica : LA CONGIURA DI BELFIORE.
Schiere di contadini si mossero per entrare in città per dar manforte agli insorti.
L'esperienza del poeta FERRUCCIO FERRETTI ( Mantova 1-9-1868 / 28-10-1915 )e la sua anima , rude, schietta, generosa, balza viva dai suoi accenti poetici. Poeta in cui Mantova si è riconosciuta, interprete dell'anima, della rusticità e della cordialità della terra mantovana. 
Ferretti è sepolto nel cimitero monumentale di Mantova e sull’urna che ne conserva le ceneri, col nome e le date, si leggono queste parole:
“Poeta vernacolo schietto ed arguto, VIBRO' STRALI CONTRO LE UMANE INGIUSTIZIE, diede fiori alla patria e alla libertà."
La testimonianza dei momenti tragici dell'esecuzione dei martiri di Belfiore, tra lo sconcerto ed il terrore degli astanti, e la tranquillità soprannaturale dei condannati :
I.
Ancora ades a n’am so dar rason
e l’è ormai sinquant’ani ch’l’è passada;
chè quand am torna in ment cla balossada,
am senti ancora vegnar su ‘1 magon.
J’era brut temp alora!... par la strada
n’at trovavi che sbir, spie in orcion,
polizai e croat, ussar, dragon;
‘na rantumaia perfida e sfaciada.
A la sera (col s’ciop e la giberna)
i girava ‘d partut; si t’incontrava,
i ta sbateva in ghigna ‘na lanterna:
pò i volea saver chi ‘t séri ti
e to padar, to nono, cos’ai fava,
i do’ t’andavi e parchè ‘t séri lì.
II
S’at gh’evi apena apena ‘na magagna
it menava davanti al comissari
e lì, con on decret straordinari,
it mandava in preson... a far campagna.
Gneva al process, par giudizi statari, 
(on pressapoc dl’ inqusizion de Spagna)
e ancora ancora l’era ‘na cucagna 
ciapàr trenta legnade... e ringraziari. 

Se po‘t seri da quei, al me putel, 
ch’a ta spussavi da cospirator, 
at podevi ben dir: adio batel!
It dava par tri gior’n on confessor
E santamente it mandav al macel
Com’ià fat con i Martir a Belfior
III
Al set dicembar dal sinquantadù
(dismendgarò mai più ‘l gioran fatal)
pien da speranze ancora, am son tolt su
par spetar al corteo in s’al stradal
Ghera Zambelli avanti daparlù,
go gneva Scarsellini e De Canal,
Poma e Tazzoli i’era i’ultum du,
in tre brute carosse ‘d vetural.
A’n so ‘l parchè la gent l’era persuasa
Chi sarìa sta grazià; e i’ era cors
Par portari in sle gròpe fin a casa
E mi, che con cl’idea agh son andà,
am senti ancora in dl’anima ‘l rimors
d’aver vist coi me occ cl’infamità.
IV
Descrivar chi moment n’an ghè parola.
(Intant ca s’eram lì tra ‘1 sì e ‘1 no)
am ricordi, ch’a gh’eva un gnoc in gola
ch’a n’al voleva andar ne su ne zo.
Ma dop che l’auditor l’a let la bola... 
fina i soldà todesch, dur come i ciò,
parea chi j’èss lavà con la sigola 
tant le putine di ‘occ l’igh gneva so.
Le done ja tacà: oh! Poarin
acsì giovan, vardè, gesùmaria! 
moerar compagn di lad’r e di’ assassin! 
Lor, invece, tranquii, seren e fort, 
in cal moment teribil d’agonia, 
i s’è dat on basin.. e po i’è mort!
V
Ma le vìtime sante da Belfior,
al boja ià portà maledision!
la potensa e la boria di’opressor
l’è quasi adrè cla va in liquidasion.
In dla stirpa dal vecc imperator 
sa gh’è fat al taròl, e in dla nasion 
a cova da un bel pèss on malumor 
da quei ca sa on toclin ‘d rivolusion.
Tra i latin, i panslavi, i pantodesch, 
i’ antisemiti, i czechi, i protestant, 
i pret, l’iredentismo e tut al rest,
l’osel con i du bec al pol star fresch
can’ag la daghi longa miga tant. 
Al temp, cl’è galantom... ai farà al rest.
01 Marzo 2011 17:02 Nome: Mariuccio Bianchi
Il dialetto, come ci ha mostrato Lori, può essere un indicatore di unità nazionale e non di becero campanilismo o addirittura strumento antiunitario.
Mariuccio
14 Marzo 2011 19:27 Nome: alessandro vedani
becero campanilismo, strumento antiunitario... perchè parte così prevenuto Sig Mariuccio Bianchi? Non pensa che il dialetto diventi difesa e contrapposizione come reazione uguale e contraria a quando si tende all'omologazione, all'appiattimento, alla minaccia di interessi basilari, ad unire forzatamente ciò che ha caratteristiche e peculiarità diverse. E' proprio il nazionalismo quello più becero e patriottardo e ipocrita che ha creato le peggiori nefandezze, non il rispetto delle realtà locali attuabili in un sistema federale. Mazzini: Fatta l'Italia ora facciamo gli Italiani. Chiedo di analizzare la "profondità" di questa frase. Qualcuno me lo spieghi senza retorica e senza insulti. Lo chiedo per cortesia.
15 Marzo 2011 10:59 Nome: .....
si ma prima ci spieghi lei la profondità della frase da lei profferita (video Il Fatto) :
parla normalmente il dialetto, eeeeeeeee mangia prosciutto eeeeeee
15 Marzo 2011 13:00 Nome: nicoletta
Sig. Vedani, se lo faccia spiegare da Gheddafi, senza retorica e senza insulti, cosa voleva fare AGLI ITALIANI il ministro della Repubblica Italiana Bossi.
Euronews ha mandato in onda un servizio sull’ intervista a France 24 di Gheddafi di qualche giorno fa. Gheddafi ha pacatamente spiegato che un intervento estero in Libia… <<...è’ una ingerenza negli affari libici, come se noi ci occupassimo delle questioni della Corsica, della Sardegna o di altre regioni d’Europa.
Noi non siamo intervenuti in Italia del Nord a favore di uno Stato della Padania, come voleva Bossi, perchè questo sarebbe stato illegale....>>.
Cortesemente, lo cerchi e lo guardi su youtube come : "Non aiutammo Bossi nella secessione del Nord...
”15 Marzo 2011 14:07 Nome: extracomunitario
alessandro vedani, mi sarei aspettato da lei un intervento in lingua celtico - padana, avrebbe dimostrato coerenza salvaguardando la lingua e la cultura dei padani, comunque la ringrazio di "padroni a casa nostra" e fate coordinatrice una musulmana.
15 Marzo 2011 14:37 Nome: Liberiamo malnate da Vedani
Ma esiste un vaccino, un antidoto, una medicina, un pesticida, un disinfettante, un qualche cosa che ci tenga lontano e lo faccia stare zitto sto fenomeno di Buguggiate che poi di Buguggiate non è!
15 Marzo 2011 14:42 Nome: aiò
caro extra,
guardi bene che l'originale era "padroni a casa vostra"
come hanno bene dimostrato il sig. Vedani e il sig. Candiani
(ma non solo loro)
15 Marzo 2011 19:20 Nome: coco
secondo me l'unica cosa sensata da fare è che qualcuno senza indugio vada a gemonio a raccontare quello che stà succedendo a Malnate. perchè secondo i meglio e più informati lì non sanno niente di quello che i maghi di buguggiate e tradate hanno fatto e stanno facendo qui nel nostro paese.
16 Marzo 2011 10:26 Nome: Mariuccio Bianchi
Mi sono accorto un po' tardi della polemica innescata dal mio commento sul dialetto. Pongo rimedio.La discussione è sempre benvenuta, lo scadimento di tono un po' meno. Al signor Vedani in particolare vorrei dire:sicuramente il dialetto, nella misura in cui è usato come espressione di una cultura locale, non in alternativa o in contrapposizione ad una dimensione nazionale o, perchè no, europea, è il benvenuto. Certo in un'epoca di mondializzazione o globalizzazione la lingua nazionale, nonchè l'inglese o il francese o........#lascio a voi valutare quali sono le lingue essenziali per intendersi a livello mondiale# sono fondamentali per noi e per i nostri figli e nipoti.
Aggiungo una nota personale:se penso alla fatica di apprendere l'italiano #poi sono diventato insegnante di italiano e storia#, poichè a casa mia si parlava solo dialetto, se penso che come me molti coetanei si sono "emancipati"dal retroterra dialettale, be, non sopravalutiamo i ldialetto almeno come strumento di comunicazione.
P.S. L frase "L'Italia è fatta, bisogna fare gli Italiani" è di Massimo d'Azeglio, non di Mazzini.
Cordialmente, Mariuccio Bianchi
16 Marzo 2011 15:02 Nome: chicca
Davide Van de Sfroos, cantautore comasco dialettale, amato dalla lega ed ora contestato : " il dialetto? Dovrei vergognarmi di cantare nella lingua di mio nonno? "
Il ragionamento sul dialetto come lingua popolare e non come pietra della divisione, è ripetuto anche nel comunicato con cui van de Sfroos annuncia la sua partecipazione al festival.
«Cancellare i dialetti è come limare gli Appennini – spiega Davide Van de Sfroos che ha portato a Sanremo un brano in laghèe – perchè l’Italia rimane unita anche grazie all’identità dei dialetti. Mi preoccuperò il giorno in cui parleremo tutti un italiano commerciale misto all’inglese."
Dialetti come cemento dell’Unità d’Italia, dice dunque il cantante. E a via Bellerio si arrabbiano.
19 Febbraio 2011 12:14 Nome: lori
Curiosità.
Nella SAGRADA FAMILLIA a BARCELLONA, ad opera dell'impareggiabile ANTONI GAUDI, c'è una scultura a testimonianza dell'attentato avvenuto all' OTTOCENTESCO TEATRO GRAN LICEO DI BARCELLONA nel 1893.
La scultura di GAUDI, TENTATION DEL HOMBRE, rappresenta una figura diabolica che impugna una BOMBA DI ORSINI.
Il tipo di bomba usato da un anarchico nel suddetto attentato
18 Febbraio 2011 17:47 Nome: Mariuccio Bianchi
Per arricchire il contributo di Lori, traggo da Wikipedia una nota biografica di Oberdan
Wilhelm Oberdank(Trieste, 1º febbraio 1858 – Trieste, 20 dicembre 1882) era figlio illegittimo di Josepha Maria Oberdank, una slovena di Gorizia, e del soldato veneto Valentino Falcier, arruolato nell'esercito austro-ungarico. Quando Falcier abbandonò Oberdank, questa si sposò con un altro uomo, che non riconobbe Wilhelm, il quale mantenne pertanto il cognome della madre. In gioventù italianizzò il proprio nome e cognome in Guglielmo Oberdan per rivendicare la propria italianità.
Trascorse i primi anni di vita in una città segnata dai contrasti fra i fedeli all'Austria e gli irredentisti. Si distinse nelle attività scolastiche e nel 1877, grazie ad una borsa di studio del comune di Trieste, poté iscriversi al Politecnico di Vienna. L'anno seguente, però, avendo l'Austria proclamato la mobilitazione per occupare militarmente la Bosnia e l'Erzegovina come deciso nel Congresso di Berlino ricevette la chiamata alle armi e dovette interrompere gli studi.
Per non combattere agli ordini dell'Austria, decise subito di disertare e, aiutato da organizzazioni patriottiche italiane, abbandonò Vienna per trasferirsi a Roma dove poté iscriversi all'università e completare gli studi in ingegneria. All'ultimo anno fu però costretto ad interromperli poiché, a causa di alcune sue opinioni, il sussidio assegnatogli dallo Stato italiano gli venne revocato.
La morte di Giuseppe Garibaldi, avvenuta nel 1882, e il conseguente scoraggiamento degli esuli che avevano riposto in lui le loro speranze, spinse Oberdan a organizzare un attentato, assieme ad altri irredentisti (tra cui l'istriano Donato Ragosa, con cui si era sempre mantenuto in contatto), contro l'imperatore Francesco Giuseppe in visita a Trieste in occasione dei 500 anni di "dedizione" della città all'Austria. Prima che l'attentato potesse compiersi, venne arrestato a Ronchi, in seguito alla segnalazione di un messo comunale che notò il suo ingresso clandestino in territorio austriaco nei pressi di Versa. Condannato a morte dalla giustizia austriaca per diserzione e cospirazione, avendo confessato le intenzioni di attentare alla vita dell'imperatore Francesco Giuseppe, fu impiccato a Trieste il 20 dicembre 1882.
L'Italia lo considera un martire dell'irredentismo, gli è stato dedicato un mausoleo che affianca il palazzo del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, sorto nello stesso posto dove all'epoca dei fatti si trovava la caserma in cui fu impiccato. A Treviglio (BG) gli è stato dedicato un Istituto Tecnico Commerciale (I.T.C. G.Oberdan) e sempre a Trieste gli è stato dedicato un liceo scientifico, e numerose piazze, vie e istituti scolastici sono stati a lui dedicati in quasi tutte le città italiane dal dopo guerra fino ai giorni nostri. Oberdan è ricordato anche in un canto, diventato molto popolare, come La Canzone del Piave, insieme a Nazario Sauro e Cesare Battisti oltre che nell'Inno a Oberdan, cantato anche da Milva.
Giosuè Carducci, il 20 dicembre 1907, per commemorare il martire Oberdan affisse in Bologna una lapide e pubblicò dei manifesti in cui era scritto:
« IN MEMORIA XX DICEMBRE 1882 GUGLIELMO OBERDAN MORTO SANTAMENTE PER L'ITALIA, TERRORE AMMONIMENTO
RIMPROVERO AI TIRANNI DI FUORI AI VIGLIACCHI DI DENTRO - GIOSUÈ CARDUCCI XX DICEMBRE 1907. »
18 Febbraio 2011 10:24 Nome: lori
LE BOMBE DI ORSINI RICOMPAIONO NELL'INNO DI GUGLIELMO OBERDAN, PATRIOTA ED ESPONENTE DELL'IRREDENTISMO ITALIANO :
1. Impugna le bombe d'Orsini,
prepara il pugnale alla mano,
a morte l'austriaco sovrano!
Noi vogliamo la libertà.
Refrain:
A morte Franz! Viva Oberdan!
2. Vogliamo spezzare per sempre
la dura servile catena;
a morte gli Asburgo-Lorena!
Noi vogliamo la libertà.
Refrain:
A morte Franz! Viva Oberdan!
3. Vogliamo gridar: Viva Italia!
Vogliamo al dolore uno sfogo!
Squassiamo l'austriaco giogo,
Noi vogliamo la libertà.
Refrain:
4. Sul nodo che il collo ti serra
giuriamo: faremo vendetta!
Fratelli, già l'ora s'affretta
in cui riavrem la libertà.
Refrain:
5. Vogliamo schiacciar sotto il piede
l'odiata austriaca insegna;
già l'ora è vicina e segna
la degna fine di Franz Josèph!
Refrain:
6. Già fiere, superbe, s'avanzano
impavide le itale squadre.
Invan non t'invocammo, o Madre,
o Italia: noi torniamo a Te!
Refrain:
14 Febbraio 2011 14:59 Nome: lori
Mirari vos, Roma, 1832, Gregorio XVI :
"....la LIBERTA' DI COSCIENZA : errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione. "Ma qual morte peggiore può darsi all’anima della libertà dell’errore?......"
Forse siamo ancora lì a valutare quanto questa libertà di coscienza sia riconosciuta ed abilitata a guidare il credente, le domande su quale punto preciso la Chiesa abbia raggiunto, nell'amministrare la fede e il diritto, sono ancora tante !
Cuore o decalogo ? Coscienza o legge ? Giovanni Paolo II, l'Uomo del Cuore, sarebbe del tutto in sintonia con Benedetto XVI, l'Uomo della stretta Teologia ?
12 Febbraio 2011 20:42 Nome: lori
Ipocrisia ? Visione soprannaturale della vita ? Premura per le anime ? Gestione del potere ?
Gregorio XVI scrive amabilmente ed affettuosamente ai sudditi ribelli, Della Divina Provvidenza, subito dopo il suo insediamento :
"Riflettano quegl’infelici quale ferita aprirono nel seno del tenero loro padre, quale tranquillità perdettero, quali pericoli incontrano, e al confronto irato dello stato di disordine e d’inquietezza nel quale si gettano, piangano nella sincerità del cuore di essersi allontanati dalle acque vive per formarsi cisterne dissipate. Non avendo che brame pacifiche e conciliative, non cercando che il bene di chi avremo sempre per figli, apriamo fin da adesso su di loro le viscere di amorevolezza, mansuetudine e indulgenza, troppo amareggiandoci il solo pensiero di poter trovarci nella necessità di ricorrere a misure di rigore, mentre anzi siamo fermi nel proposito di estendere a quei luoghi, come al resto dei Nostri domini, provvidenze di beneficenza e di prosperità. Ci sono giunti annunzi tristissimi di sconvolgimenti funesti accaduti in alcune province dei Nostri Stati. Confidando però in quell’aiuto che porta fermezza fra le angustie, Ci umiliammo sotto la mano potente del Signore, considerando che erano segnati così infaustamente i primi momenti del Nostro Pontificato, anzi il giorno stesso riservato ad onorare nella Nostra miseria, Posti ad essere per essi, più che principe, padre amorosissimo, assumemmo viscere di padre che aspira solo al bene dei suoi figli, e solo per questi occupa le sue sollecitudini. Volgemmo subito i Nostri pensieri alle varie classi di coloro che Dio Ci diede per figli, e nell’amarezza del Nostro spirito vedemmo il risultato infelice di quelle circostanze che in tante guise portarono ovunque l’indigenza e il disordine."
Di contro,
il segretario di Stato cardinal BERNETTI, con l'editto del 12 febbraio, ordinava che la Guardia civica d'ogni regione fosse accresciuta di cento uomini fedeli e valorosi, e poiché la sera dello stesso giorno 12 avveniva uno scontro sanguinoso tra una gruppo di liberali e una compagnia di granatieri in piazza Colonna seguito da arresti e da un movimento di reazione fra i popolani del Trastevere a favore del Pontefice, il medesimo cardinale Bernetti pubblicava in data del 14 febbraio un EDITTO MINACCIOSO E VIOLENTO che in verità non andava d'accordo con quello dimesso e dolce di Gregorio XVI. 
:


"Una turba di scellerati ha immaginato che fosse facile impresa lo sconvolgere l'ordine pubblico e far dimenticare ai Romani la religione che professano e l'attaccamento e la devozione di cui si gloriano verso il loro Padre e Sovrano, e di trovare le onorate truppe pontificie senza fedeltà e senza valore ! Costoro fra i delitti e le tenebre hanno maturato pensieri di ribellione in questa città, e l'hanno pure tentata, ma inutilmente. Il governo sa le loro macchinazioni; non ignora i mezzi che adoperano; conosce lo scopo a cui tendono; e si è posto in misura contro tali indegne manovre. Vuole però il S. Padre che questa fedele popolazione conosca che gl'ingrati, i perfidi, gli empi non abbandonano facilmente le loro imprese. Il progetto già conosciuto di questi ribaldi è il saccheggio non meno delle pubbliche che delle private proprietà, e colla lusinga di queste prede hanno cercato di acquistar seguaci e quindi di tentar la rivolta. Essi però non l'otterranno, vegliando sempre alla difesa di Roma la Divina Provvidenza per l'intercessione validissima di Maria Santissima, particolare protettrice di questa sua devota popolazione, e dei gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Ed è appunto per un tratto di questa Divina Provvidenza che fra i sedotti e tratti in inganno ve ne fossero pur di quelli che, lacerata l'anima da rimorsi crudeli, si sono indotti a confessare l'errore e a manifestare le trame.IL GOVERNO NON LASCERA' QUESTE IMPUNITE. Ma frattanto se i facinorosi tentassero di bel nuovo qualche loro impresa, non dubita il Santo Padre, certo della illimitata ed imperturbabile fedeltà dei suoi sudditi e figli, che ad ogni segno che si dia dal forte Sant'Angelo e colle pubbliche campane battute a martello, tutti gli ascritti al servizio militare, associandosi, per quanto sia possibile, ai rispettivi corpi, accorreranno alla pronta e generosa difesa della Religione, della Patria e del Trono". 

Il Pontefice ed il Cardinale, il potere dalle due facce, la dolce lusinga della salvezza e della comprensione affogata nella durezza della difesa e della intransigenza che ogni prepotenza conosce e dimostra in qualsivoglia circostanza temporale e geografica.
E' anche vero che il Cardinale ed il Pontefice avevano dalla loro parte la Divina Provvidenza, Maria Santissima,gli apostoli Pietro e Paolo !
13 Febbraio 2011 18:01 Nome: Mariuccio Bianchi
Varrebbe la pena di leggere con attenzione l'enciclica "Mirari Vos"di Gregorio XVI, che contiene, come anticipato in sintesi nel mio testo, enunciazioni che a noi sembrano assurde, ma che a quei tempi solo ai liberali ed ai democratici, che non erano certo la maggioranza della popolazione, dovevano apparire tali.E' interessante vedere, leggendo l'enciclica, come sia stato lungo e difficile il cammino della Chiesa verso l'accoglimento di alcuni, almeno, principi liberali e democratici. In fondo si potrebbe concludere che la Chiesa si è adattata al liberalismo solo quando si è profilata una minaccia per lei ben maggiore:il socialismo ed il comunismo.Un adattamento più per necessità che per scelta convinta, a mio parere.
Rileggiamoci alcuni punti dell'enciclica: 1.riaffermazione dell'indissolubilità del matrimonio; 2.riaffermazione del celibato ecclesiastico; 3.condanna dell'indifferentismo religioso; 4.condanna della libertà di coscienza intesa come corollario dell'indifferentismo; 5.condanna della libertà di pensiero e di stampa; 6.riaffermazione del dovere di sottomissione ai sovrani legittimi(dimenticando San Tommaso che non escludeva il tirannicidio in casi estremi); 7.condanna della separazione fra Stato e Chiesa (in barba all'evangelico"Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio); 8.appello all'aiuto statale (secondo una concezione strumentale dello stato stesso).
In pratica l’enciclica riaffermava, sul piano politico, l'appoggio della Santa Sede alle posizioni favorevoli all’assolutismo (distacco delle posizioni della borghesia intellettuale) e, sul piano ecclesiastico, il rigetto della linea dei cattolici liberali.
Ultima considerazione,che è una domanda: la Chiesa si è del tutto liberata di questo ciarpame, proprio di un lontano passato?
03 Febbraio 2011 18:28 Nome: lori
Una curiosità .
Claudio Casini, nel suo libro dedicato al musicista Verdi, ha affermato un parere del tutto in controtendenza con quello generalmente accolto: "Nella leggenda verdiana, si vuole che le rappresentazioni di Nabucco e dei Lombardi siano state momenti di rilievo nella coscienza risorgimentale in Italia. Ma non è così.
Non tanto perché le due opere vennero dedicate dall'autore, rispettivamente, all'arciduchessa Adelaide d'Austria e alla granduchessa Maria Luigia di Parma. Più semplicemente perché, nel 1842 e nel 1843, certi fuochi di irredentismo covavano senza fiammeggiare; né Verdi ne aveva esatta consapevolezza, troppo impegnato alla ricerca di se stesso "
Al contrario, le cronache di allora raccontano di accesi entusiasmi del popolo, totalmente identificatosi negli Ebrei esiliati del coro del Nabucco. "Fu un trionfo - racconta Indro Montanelli nell'Italia del Risorgimento -, come se da un pezzo la gente non aspettasse altro. Già Mazzini aveva auspicato l'avvento di un musicista che innalzasse "il coro della sfera secondaria e passiva che gli è oggi assegnata alla rappresentanza solenne ed intera dell'elemento popolare".
Il Va' pensiero compiva proprio questo miracolo. Orecchiabile com'era, gl'italiani lo fecero subito loro adattandolo alla propria condizione d'esiliati in patria.
Quando l'opera fu data alla Fenice di Venezia tutto il pubblico, in piedi, lo riprese a piena voce agitando bandierine tricolore verso i palchi gremiti di ufficiali austriaci.
E a Milano gli organetti di Barberia lo suonavano per le strade, provocandovi tali ingorghi che più volte la polizia dovette sgomberarle di forza". Non è semplice leggenda, quindi, quella che vuole i muri di Milano e di Venezia cosparsi delle scritte "Viva V.E.R.D.I", dove il nome del musicista diventa l'acronimo di "Vittorio Emanuele Re D'Italia".
03 Febbraio 2011 19:15 Nome: mariuccio Bianchi
Ciao Lori, è sempre un piacere corrispondere con te. Peccato che si sia noi due soli.
In ogni caso quanto scrivi è estremamente interessante e merita senz'altro un approfondimento:Verdi patriota e le sue opere cariche di fuoco irredentistico sono una realtà o una mitizzazione successiva? Io stesso dovrò approfondire la questione. Certo è che qua e là segni e sogni di patriottismo nazionale si possono trovare fin dall'epoca napoleonica, magari in forma di letteratura (vedi Ugo Foscolo). E' però altrettanto vero che lo stesso Cavour a metà dell'Ottocento, quando cercava l'alleanza con Napoleone III, pensava ad un regno dell'Italia settentrionale ad egemonia piemontese, una volta scacciata l'Austria dal Lombardo-Veneto; in altri termini non sognava una patria dalle Alpi alla Sicilia. Poi, come sappiamo, le cose andarono diversamente.
A presto Mariuccio
20 Gennaio 2011 14:41 Nome: lori
Mario Pomilio, autore di libri importanti come «Il cimitero cinese» e «Il quinto evangelio», nel 1964, durante una visita a Roma (lo scrittore, di origine abruzzese, viveva a Napoli), passeggiando per via del Babuino fu incuriosito dalla targa commemorativa dedicata a Giuseppe Napoleone ( il nostro Plon Plon citato nell'ultima pagina " matrimonio di stato " del prof. Bianchi ) ) e intraprese delle ricerche storiche per dar corpo a quel personaggio che gli era venuto incontro, in maniera sommessa e misteriosa, dagli abissi del tempo. A quei tempi, il vecchio albergo di via del Babuino dove il principe aveva trascorso i suoi ultimi giorni, era la sede centrale della RAI. E Pomilio era stato colpito proprio dalla somiglianza dei destini del vecchio palazzo e di quel suo improbabile personaggio, travolti l' uno e l' altro dalla marea del tempo che cancella ogni significato. Come spesso accade, il progetto rimase tale, e lo stesso Pomilio se ne dimenticò per quasi vent' anni. Un giorno, frugando tra le sue carte, ritrovò quei lontani appunti. Forse non aveva più l' energia o la voglia di portare a termine l' opera, dopo tanto tempo. Ma gli venne un' idea anche migliore: raccontare le cose, cioè, come erano andate. Ne venne fuori un racconto, intitolato «Una lapide in via del Babuino», indimenticabile per l' acutezza dell' analisi psicologica e la precisione dello stile. Qualche anno fa l' editore Avagliano lo ha ristampato.
Il soprannome, dato dall'entourage familiare e non, a Giuseppe, cioè Plon Plon, ha un che di affettuoso clima da avanspettacolo, e, considerando che ha passato gli ultimi suoi giorni nel palazzo che fu, poi, sede della Rai, si crea una curiosa coincidenza tra il personaggio libertino e il carattere del luogo che diede la sede all'azienda dello spettacolo italiano.
Perdonate la mia leggerezza che non vuole disturbare il lavoro serio di queste pagine.
21 Gennaio 2011 18:19 Nome: Mariuccio Bianchi
Mi piacerebbe che la partecipazione al forum diventasse più numerosa e che gli interventi fossero stimolanti come quelli di Lori. Non conoscevo il testo di Pomilio e quindi mi affretterò a cercarlo in biblioteca o in libreria.
Grazie infinite, Lori, per la tua attenzione, che dà una ragione in più al mio lavoro.
Mariuccio
11 Gennaio 2011 17:47 Nome: lori
Apprezzo molto il lavoro prodotto dal professor Bianchi in questi mesi. Un contributo culturale, storico e alla portata di tutti.
L'ultimo " pezzo " sulla rivolta del " fumo " mi ha incuriosito, sia per il titolo che per il contenuto. Non conoscevo i particolari riportati in merito alle vicende milanesi e pavesi. Mi ha colpito la buona intenzione del popolo di fare opposizione pacifica al governo prepotente ed altrettanto mi ha disgustato la reazione subdola, dapprima, e violenta poi, dell' usurpatore.
Radeztky si delinea come personaggio odioso e noncurante delle vite di donne e bambini indifesi. A tale scopo voglio arricchire la questione ricordata ,con la reazione di un sindaco genovese in occasione dell'esecuzione della famosa " Marcia di Radeztky."
Il concerto di Capodanno del teatro Carlo Felice si è chiuso ieri con la marcia di Radetzky, mentre gli applausi del pubblico scandivano la musica di Strauss. Ma il sindaco Marta Vincenzi non ha gradito l’esecuzione. Non per la sua qualità, ma per la scelta stessa del brano: «Quella musica
ha un significato storico preciso, e noi siamo fatti anche di storia», spiega il sindaco. Composta da Johann Strauss padre, celebra il ritorno a Milano, dopo i moti insurrezionali del 1848 che lo avevano cacciato, del feldmaresciallo austriaco Josef Radetzky: il ritorno nel Lombardo-Veneto del dominio austroungarico. Genova ambisce al titolo di “città dell’inno nazionale”. Proprio a Genova, il 10 dicembre 1847, debuttò l’inno di Mameli. Due giorni fa, nel suo discorso di fine anno, Giorgio Napolitano ha ricordato che «celebrare quell’anniversario, come abbiamo cominciato a fare e ancor più faremo nel 2011, non è un rito retorico. Non possiamo come Nazione pensare il futuro senza memoria e coscienza del passato». Suonare l’inno di Mameli, ieri pomeriggio, sarebbe stato politicamente più corretto. «Avrei dovuto pensarci prima io stessa», è il mea culpa del sindaco, che è anche presidente del consiglio d’amministrazione del Carlo Felice.
Forse dovremmo riflettere anche noi sull'esecuzione di tale marcia, che trovo anche piacevole, ma che rappresenta un " momentaccio " sicuramente triste per molti italiani.
11 Gennaio 2011 19:14 Nome: Mariuccio Bianchi
Grazie Lori per la tua attenzione alla rubrica e per il contributo di informazioni con cui hai arricchito la mia piccola ricerca. A proposito di Inno di Mameli e di tricolore, e quindi di "coscienza del passato",come tu scrivi, ho garbatamente polemizzato proprio ieri con la segretaria generale della CISL del Veneto, relativamente ad un calendario curato dalla CISL stessa nella cui copertina è stato collocato il tricolore; nel verde del tricolore peraltro è stato inserito il Leone di San Marco:nulla di male in sè, anche perchè nei due anni, 1848 e 1849, della gloriosa repubblica di San Marco, il Leone sventolava accanto al Tricolore. Semplicemente mi è sembrata una cosa inopportuna in questo particolare momento storico in cui al tricolore si contrappongono spadoni, leoni, sole delle Alpi e.. chi più ne ha più ne metta.
Con simpatia, Mariuccio
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